Picchio rosso minore

DENDROCOPOS MINOR

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    Il picchio rosso minore è un uccello della famiglia dei Picidi. Questo minuscolo picchio presenta una lunghezza di appena 14-15 centimetri, per un’apertura alare di 26-29 centimetri e un peso che non supera i 25 grammi. La sua livrea si presenta assai variegata: la fronte è di color bianco sporco o bruniccio, le parti inferiori sono bianche con qualche stria scura ai fianchi. Mentre nei maschi è evidente la calotta vermiglia, le femmine non presentano nessuna colorazione rossa. Dalle dimensioni simili a quelle di un passero, è il più piccolo tra i picchi europei e, per le sue abitudini elusive, è difficile da osservare in natura.
    Piccolo e schivo, il Picchio rosso minore si fa riconoscere per una serie di “kikikiki”, che ricordano quelli del Gheppio, e per un tambureggiamento più lungo e delicato di quello del Picchio rosso maggiore.

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    femmina © foto www.oiseaux.net
    Il Picchio rosso minore si ritrova in diversi tipi di boschi aperti cedui o misti, spesso ai margini delle faggete dove è facile trovare alberi da frutto e soprattutto latifoglie, giardini e parchi, dal livello del mare fino ai 1.500 metri di altitudine. Si nutre preferibilmente di larve d’insetti xilofagi, ragni e formiche che vivono sotto la corteccia, ma anche di bacche e altri vegetali. Il nido presenta un foro d’ingresso di circa 3,2 centimetri – sufficienti date le dimensioni ridotte della specie – e viene spesso scavato su rami secondari.
    Preferisce i boschi di conifere, ma frequenta ogni tipo di bosco maturo che possa offrirgli larve all’interno dei tronchi. Come tutti i picchi, infatti, sonda con il becco le parti che rimbombano per poi forare il legno con colpi ben assestati. Per nidificare, scava cavità in tronchi preferibilmente marcescenti, ma spesso occupa anche vecchie cavità naturali o realizzate da altre specie. Nonostante le sue piccole dimensioni, quando deve delimitare il territorio, riesce a farsi sentire a grande distanza, colpendo velocemente e ripetutamente il tronco cavo per dissuadere eventuali intrusi.

    Il rituale di corteggiamento inizia abbastanza presto, con l’arrivo della primavera, quando il maschio inizia a delimitare il territorio e a tamburellare insistentemente i tronchi per attirare l’attenzione della compagna e tenere alla larga potenziali concorrenti. Una volta formata, la coppia produce una sola covata, tra maggio e giugno, composta da 4-6 uova. Entrambi i genitori si occupano della cova, che dura un paio di settimane, mentre i pulcini continuano ad essere alimentati per ulteriori tre settimane dalla schiusa.
    Ampia la distribuzione della specie, presente in una fascia del Paleartico che va dal Portogallo al Pacifico, compresa l’isola di Sakhalin e la penisola della Kamchatka. A nord, lo si ritrova in Scandinavia fino ai limiti della vegetazione arborea, mentre è assente da quasi tutta la Danimarca, Scozia, Irlanda e dalle isole mediterranee. A sud-est, è presente in Asia Minore e Caucaso, nonché in una piccola area del Nordafrica tra Algeria e Tunisia. Alle nostre latitudini – così come in Francia meridionale, Spagna, Balcani – vive la sottospecie Dendrocops m. buturlini : assente dalle isole, presenta vuoti di areale anche in Salento e nel Nord-Est, ad eccezione dell’Alto Adige.

    Il Picchio rosso minore presenta uno stato di conservazione favorevole in tutta Europa. Sebbene la specie abbia subito un declino nel periodo 1990-2000 in alcuni Paesi – e il trend della strategica popolazione russa sia attualmente sconosciuto – molti contingenti europei, incluso quello molto consistente presente in Francia, sono tuttora stabili.
    Anche in Italia il trend demografico della specie è in gran parte sconosciuto. Questo a causa delle difficoltà nell’osservare la specie in natura – schiva e di dimensioni ridotte – e di procedere quindi a censimenti su larga scala. Ad oggi, si stima la presenza di almeno 3.000-6.000 coppie riproduttive nel nostro Paese, sebbene le difficoltà di osservazione possano portare a una sottostima sia dell’effettiva consistenza delle popolazioni, sia della loro distribuzione, soprattutto nella fascia appenninica.

    Pur essendo tutelata in Italia sin dagli anni ’60, le tre segnalazioni note si riferiscono tutte a soggetti abbattuti. Piuttosto ridotti gli spostamenti rilevati (ad esempio nelle Marche, dalla costa adriatica al vicino entroterra, oppure dalla Lombardia occidentale verso il Piemonte) ad un anno di distanza dall’inanellamento.
    Allo stato attuale, il Picchio rosso minore è considerata specie a più basso rischio nella Lista Rossa Nazionale. Risulta, inoltre, specie particolarmente protetta in Italia ai sensi della legislazione venatoria (157/92).

    Presente in Italia in tutte e tre le regioni biogeografiche – alpina, continentale, mediterranea – la specie viene considerata in incremento o stabilità, con decrementi registrati a livello locale. Piuttosto elevata la concentrazione delle popolazioni in pochi siti, il che dipende in gran parte dalla perdita di habitat idoneo a seguito dell’urbanizzazione crescente in contesti di pianura a danno di porzioni boschive, frammentazione degli habitat e interventi selvicolturali intensivi.
    Nidificante localizzato in Pianura Padana e parte dell’Appennino settentrionale e meridionale, risente notevolmente delle pratiche forestali, dell’eliminazione dei tronchi morti o marcescenti e della ceduazione. In Italia, l’abbandono dei castagneti da frutto appare come uno dei pericoli maggiori nell’Appennino medio-collinare, assieme alla contrazione della boscaglia ripariale a salici, pioppo bianco, frassino e dei querceti planiziali con alberi vetusti.

    In contesti planiziali, caratterizzati da agricoltura intensiva su larghe estensioni, il fattore limitante per il suo insediamento può dipendere dalla scarsità di settori forestali sufficientemente ampi e interconnessi. Il forte declino registrato in Scandinavia è quasi certamente dovuto alla perdita di foreste decidue convertite a coniferete. Per l’Italia, resta da definire l’areale distributivo su Alpi, settore centro-orientale della Pianura Padana e parte dell’area appenninica: storicamente, la specie veniva considerata più frequente in diverse aree di Toscana, Lazio e Calabria.
    Disturbo antropico, trasformazione e distruzione dei siti riproduttivi, asportazione di tronchi secchi e deperienti e abbattimenti illegali, interventi selvicolturali e tagli forestali in periodo di nidificazione possono provocare episodi di mortalità e di riduzione del successo riproduttivo, per il quale non esistono comunque dati specifici relativi al nostro Paese.

    La specie in Italia è sufficientemente studiata per quanto riguarda la sua distribuzione in alcuni contesti forestali di pianura, prealpini e appenninici del Centro-Nord ma, a causa della sua elusività, può essere facilmente sottostimata in diversi comprensori anche ampi. Dense di lacune le conoscenze in quasi tutte le regioni del Mezzogiorno. A livello italiano, mancano inoltre dati quantitativi sul successo riproduttivo e trend di popolazione fondati su serie storiche sufficientemente ampie.
    A scala locale, si può proporre un valore di 2 coppie per 10 ettari (che può essere ampiamente superato in aree poco estese e particolarmente favorevoli).
    Le medesime densità sono da ritenersi raggiungibili anche in boschi planiziali, spesso golenali, sufficientemente integri ed estesi. Densità inferiori, già registrate in questi ultimi ambiti, possono essere messe in relazione anche a un’eccessiva frammentazione e isolamento dei “patch forestali”. Da questo punto di vista, specialmente in ambito planiziale e agricolo, andrebbe rivolta maggiore attenzione nella pianificazione territoriale, prevedendo azioni volte al mantenimento e al rinforzo di efficaci reti ecologiche tramite la creazione di boschi in aree agricole – maggiori di 4 ettari – in connessione geografica con quelli ripariali delle principali aste fluviali. Ciò permetterebbe, tra l’altro, una più rapida colonizzazione delle fasce interne più isolate, a partire dai settori centro occidentali della Pianura Padana, come sembrano dimostrare le recenti nidificazioni registrate in diverse aree lombarde.

    La promozione di strategie selvicolturali che prevedano il rilascio di un numero significativo di piante senescenti e morte, nonché il mantenimento di tutte le piante cavitate, possono favorire notevolmente la specie. Vanno inoltre contrastati l’abbandono dei castagneti da frutto, soprattutto nell’Appennino medio-collinare – formazioni ove si registrano le densità più importanti della specie – nonché la contrazione e la manomissione della boscaglia ripariale a salici, pioppo bianco, frassino e dei querceti planiziali con alberi vetusti.




    Fonte: www.uccellidaproteggere.it
     
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    Ecco una ripresa di un picchio presente, ma piuttosto difficile da osservare
     
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